Il blog di Chiara Cecutti

Quando il capo è donna. Cenni di un’auspicabile leadership al femminile

 

Vi siete mai chiesti perché se vediamo il manager di un’azienda sbraitare contro i suoi dipendenti o sopraffare con una potente alzata di voce i suoi colleghi o collaboratori in una discussione professionale relativa a decisioni da prendere o a obiettivi da realizzare non ci stupiamo più di tanto e al massimo ci sorprendiamo in una smorfia di disappunto, mentre se assistiamo alla stessa performance di una donna manager restiamo a dir poco scioccati e scandalizzati? Chiamateli pregiudizi, stereotipi o modi obsoleti di considerare l’uomo e la donna in genere e quindi anche in ambito lavorativo, fatto sta che a dispetto del comportamento descritto da considerare deplorevole e certo per nulla costruttivo in entrambi i casi, siamo per lo più portati a giustificarlo in un uomo.

Nell’uomo infatti la forza, e quindi l’aggressività e la veemenza, sono ritenute caratteristiche naturali, dovute pertanto a conformazione cerebrale, DNA, testosterone. La donna, al contrario, è considerata per natura docile, accomodante e morbida, il che per certi versi può anche rispondere parzialmente a verità, ma non confondiamo la docilità con la sottomissione, l’essere accomodante con l’essere priva di opinioni o convinzioni e la morbidezza con la debolezza come è stato fatto da sempre, in modo cioè da giustificare la convinzione comune di un’innata inabilità o inadeguatezza della donna al ruolo di comando, di dirigenza e di leadership che invece, secondo vecchi e sorpassati criteri, necessita proprio delle citate caratteristiche maschili.

Sappiamo bene, oggi, che mon è così. Sappiamo bene, anche se molti fingono ancora di non esserne al corrente o di non aver compreso, che l’essere leader significa tutt’altro. Certo, il ruolo di guida cui affidarsi, di esempio da seguire, di fermezza da rispettare e di alte competenze e capacità da emulare e da cui imparare sono e restano i punti fermi di una buona managerialità, sia maschile che femminile. Da sfatare è invece assolutamente la credenza che per essere un capo la donna debba imitare l’uomo, rinunciare alle sue caratteristiche tipiche del femminile, il che comporta in alcuni casi anche la rinuncia a una famiglia e ai figli in nome della carriera. Non è così. Certo non è facile tornare a casa dall’ufficio sfiancate da una giornata di lavoro e dover pensare alla lavatrice, alla cena e a mettere a letto i bambini, ma con un piccolo aiuto e grazie al concetto di work life balance di cui le aziende più moderne e lungimiranti si stanno appropriando sempre più, permettendo quindi alle loro migliori risorse femminili di potersi cimentare in entrambe le aree della loro vita, privata e professionale, possiamo farcela.

Ma il punto più importante riguarda l’atteggiamento della donna manager al lavoro: basta imitare l’uomo, basta rinunciare alla propria femminilità come molte donne hanno dovuto fare fino ad oggi per andare avanti nella loro carriera e raggiungere posizioni così elevate da risultare accessibili solo agli uomini. Il percorso manageriale di una donna può e deve proseguire in parallelo con un percorso di crescita femminile così da diventare consapevole di se stessa in toto. E soprattutto la donna manager deve imparare ad utilizzare le sue caratteristiche e capacità tipiche del femminile come l’empatia, l’intuizione, la fermezza all’interno della morbidezza, la visione d’insieme del problema, il saper ascoltare l’altro e prenderne in considerazione il pensiero pur restando convinta delle proprie opinioni, l’essere multitasking. Solo così potremmo arrivare ad una vera, e oggi necessaria, leadership al femminile.

 

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