Il blog di Chiara Cecutti

Quando la resilienza si fa “collettiva”: con ottimismo verso la ripartenza

Sono sempre stata una fautrice della “resilienza”. Parola abusata, lo ammetto, da un anno a questa parte, ma pur sempre una parola dal significato imprescindibile per chi pratica la mia professione, che è quella del coach. Tempo fa vi parlavo della resilienza come della “capacità di mantenere alta la motivazione nonostante la presenza di ostacoli, difficoltà e disagio”.  Ma come già spiegavo allora, la resilienza non è una capacità innata, bensì cognitiva. Dipende, cioè, dalle modalità che mettiamo in pratica per rapportarci alla realtà e per farvi fronte. E ciò, a sua volta, vuol dire che possiamo svilupparla, accrescerla, potenziarla quando ne abbiamo la necessità.

Noi donne siamo più resilienti? Può darsi. Ma non certo perché portiamo nel nostro DNA il gene della resilienza, ma perché i meccanismi e i comportamenti che agiamo già in situazioni normali, quindi senza alcun pericolo da affrontare e non in condizioni di stress, ci portano a fare in prima persona, a fidarci solo di noi stesse, ad essere assolutamente certe di essere in grado di occuparci di più cose alla volta e di farlo nel migliore dei modi superando ogni difficoltà. Delirio di onnipotenza? Ma no, al massimo tirerei in ballo quella nostra inclinazione verso il multitasking di cui parlo in modo abbastanza esaustivo nel mio ultimo libro “Multitasking? No, grazie“. Ma torniamo alla resilienza.

Il periodo, il lungo periodo che stiamo vivendo credo che ne modifichi in parte il senso. La resilienza, infatti, è una prerogativa individuale che, come detto, ognuno di noi è in grado di sviluppare, dopo aver ovviamente preso coscienza delle proprie capacità di farlo. Ma la situazione in cui siamo oggi è assolutamente collettiva. Siamo tutti sulla stessa barca, per dirla molto semplicemente. E se la resilienza è la capacità di resistere e mantenere il nostro equilibrio e la nostra motivazione a fronte di un problema o di una difficoltà impegnandoci ancor più del solito per saltare l’ostacolo, cosa succede quando il problema e la difficoltà sono gli stessi per tutti noi che invece siamo così diversi l’uno dall’altro?

La pandemia e tutto ciò che ne è conseguito e ne consegue ancora, ci ha messi tutti allo stesso punto di partenza. Immagino una gara di corsa ad ostacoli dove ad attendere il segnale che dà il via alla competizione ci siano giovani e vecchi, bambini e adulti, uomini e donne, ricchi e poveri, colti e meno colti, buoni e cattivi, gentili e intolleranti, empatici e respingenti, pazienti e irascibili, e potrei continuare all’infinito. Chi sarà facilitato o penalizzato? Chi arriverà sano e salvo al traguardo avendo superato ogni ostacolo, pronto a ricominciare e a riprendersi la felicità? Ovviamente nel nostro caso non stiamo parlando di una gara sportiva, ma della vita. Ed è per questo che la resilienza dovrebbe farsi “collettiva”.

Non voglio ricordare qui le immagini inquietanti e i bollettini quotidiani che turbano le nostre giornate e i nostri cuori, e che comunque resteranno in noi e nelle nostre memorie per sempre, piuttosto accendere un faro sull’altra faccia della medaglia, quella in cui la nostra resilienza è riuscita a farsi corale, a oltrepassare il confine individuale e a diventare di tutti. Le tante iniziative di solidarietà, le campagne di sensibilizzazione, i gesti generosi di tanti ragazzi trasformatisi in volontari attivi per aiutare chi ne aveva e ne ha più bisogno, la forza strabiliante e straordinaria di medici e infermieri che hanno quasi dimenticato se stessi per lottare e salvare più vite possibili…

E ora, se tutto andrà come deve andare, eccoci alla ripartenza. In molti ricominciano a lavorare dopo tanto tempo, riaprono ristoranti, bar, negozi, cinema, teatri, musei, si torna alla produttività e alla bellezza della cultura e dello spettacolo. Pensiamo a questo mentre saltiamo gli ultimi ostacoli della corsa, riflettiamo sul fatto che non siamo soli e che la nostra resilienza aiuta anche quella degli altri. Proseguiamo con consapevolezza, ma anche con ottimismo. Mettiamo in campo tutte le nostre risorse ancora per un po’, tenendo presente che più le risorse sono alte, più basso sarà lo stress. Per noi e per tutti. Non perdiamo colpi proprio adesso. Resilienza e ripartenza vanno a braccetto.

 

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